di Flavia Fama'
Un 16 marzo per camminare insieme ai familiari delle vittime delle mafie. Per chiedere di non dimenticare e di proseguire l’impegno. Ma anche per continuare a studiare. A conoscere. Così Libera ha organizzato per il pomeriggio del 16 marzo a Firenze 25 seminari. Su Libera Informazione il racconto.
Il primo a seguire a cura di Flavia Fama’.
Quando l’antimafia si fa non violenta è il titolo del seminario organizzato dal settore internazionale di Libera che si è svolto questo pomeriggio in una sala gremita del centro anziani a Firenze. Ospiti d’eccezione Perez Esquivel, pacifista argentino, premio nobel per la pace nel 1980, per le denunce contro gli abusi della dittatura militare argentina negli anni settanta, una donna afghana che chiameremo Miriam, attivista dell’associazione RAWA rivolutionary association of women of Afghanistan e Davide Ziveri del Comitato Salvagente.
Perez Esquivel si è speso in prima persona nella tutela dei diritti umani durante gli anni del regime militare e per questo è stato imprigionato e torturato, ha dedicato e dedica la sua vita alla lotta per la giustizia e quando un giovane uditore gli chiede come si possa reagire alla violenza e cosa può fare ognuno di noi, lui ci regala un’immagine quella di una mano. Con un solo dito non si può far molto, con due forse si può afferrare qualcosa di piccolo, di leggero, con una mano intera riusciamo a stringere qualcosa, ma se dobbiamo sollevare qualcosa di pesante ci servono tante mani, insieme possiamo trasformare la società.
Aver paura, ci dice, non è un problema in se, è umano, ma non bisogna mai perdere la dignità e la propria identità e questo é possibile con la partecipazione e l’unione dei popoli.
L’idea che ‘l’unione fa la forza’ è stata il leitmotiv dell’incontro, anche l’attivista afghana, Miriam, ci ha testimoniato quanto sia fondamentale lavorare insieme sopratutto in una realtà in guerra.
Per capire gli ultimi quattro decenni di conflitto politico e caos in Afghanistan si deve studiare la sua collocazione geopolitica e l’influenza che l’occupazione dell’Unione sovietica prima e degli Stati Uniti dopo ha avuto nella nascita e nella persistenza dei fondamentalismi. Miriam ci racconta la realtà quotidiana che vivono le donne afghane, quella che purtroppo i media occidentali non raccontano e che le pone davanti a due nemici, gli USA occupanti che bombardano i villaggi e il Governo di Karzai composto da fondamentalisti e signori della guerra.
La realtà che ci viene raccontata è quella di un Paese che produce il 93% dell’oppio prodotto nel mondo anche grazie alla collaborazione di alcuni militari della Nato, le cui basi sono spesso diventate centri di smistamento della droga.
“La mafia è presente in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, non è soltanto narcotraffico o tratta di esseri umani, ma anche controllo politico. I signori della guerra, war lords, sono parte della nostra classe politica, i membri del nostro Parlamento e del nostro Governo sono anche signori della droga, drug lords.” Emerge forte la denuncia di un sistema corrotto che per molti aspetti ritroviamo anche in Italia, quel compromesso, quella contiguità e quel controllo politico contro il quale combattiamo quotidianamente anche qui.
Ci racconta di un giornalista straniero che qualche anno fa ha provato a raccontare queste vicende ed è dovuto scappare via perché minacciato, l’interprete che lo accompagnava è stato ucciso.
In Afghanistan la situazione è drammatica ma anche li da tanti anni c’è un movimento non violento che cerca di resistere e di costruire un’alternativa. RAWA nasce nel 1977 a Kabul come associazione socio-politica indipendente di donne afghane in lotta per i diritti umani e la giustizia sociale. Fu fondata da un gruppi di donne intellettuali guidate da Meena, poi assassinata nel 1987 in Pakistan; la mamma di Miriam è un’attivista di RAWA e dopo l’omicidio del padre scappano in Pakistan dove RAWA è una realtà concreta di formazione e di educazione della popolazione ai diritti, obiettivo principale dell’associazione.
RAWA opera non solo nell’insicurezza economico finanziaria, ma nel pericolo reale, sia perché dal 1978 non è più un’associazione legale a causa delle difficoltà burocratiche sia a causa della rigida applicazione della sharia che vieta alle donne di muoversi da sole.
C’è bisogno di sostegno, è necessario stare accanto ai vivi che lottano per la giustizia ci ricorda subito Davide Ziveri, del Comitato Salvagente, e per farlo si deve abbattere l’indifferenza che può esse di due tipi, la prima si manifesta quando si crede che il problema non ci riguardi, la seconda quando, nonostante sappiamo che il problema ci tocca da vicino, ne demandiamo le soluzioni agli altri.
La nostra risposta invece è una reazione non violenta ma attiva che diviene forza dirompente capace di rovesciare regimi, dittature, occupazioni, oppressioni e di sradicare la violenza dall’interno. Davide ci porta subito l’esempio dei testimoni di giustizia, coloro che combattono in prima linea perché decidono coraggiosamente di denunciare la mafia e pagano duramente questa scelta perché vengono sradicati dalle loro città, dai loro affetti e dal loro quotidiano. Quando entrano nel programma di protezione sono costretti molto spesso a cambiare identità, a riscrivere il loro passato e la loro storia. I testimoni di giustizia sono un esempio concreto di risposta non violenta, con la loro non collaborazione con la criminalità, con la loro denuncia, mettono a repentaglio la loro stessa vita e ognuno di noi può concretamente sostenerli, innanzitutto camminando al loro fianco, stando loro accanto, in secondo luogo attraverso il racconto delle loro storie anche attraverso i social network, ma c’è un passo in più che possiamo fare ed è quello di chiedere alle Istituzioni che si assumano la responsabilità della loro protezione, perché la mafia non solo tenta di ucciderli, ma spesso prova a delegittimarli e a screditarli.
Queste testimonianze in una giornata così intensa, assumono per me come familiare, un sapore ancora più denso di significato perché è fondamentale fare memoria viva dei nostri cari uccisi per mano mafiosa, ma la memoria è incompleta se non ci impegniamo quotidianamente accanto ai vivi che oggi combattono per quegli stessi ideali di giustizia e di uguaglianza. Davide ci regala una frase di Ascanio Celestini “ricordate i morti ma ricordateli vivi” lui aggiunge ricordate anche i vivi.