LA STAMPA , 23 Maggio 2001

«A Kabul tutti sono ostaggi»

Vincenzo Amato


OMEGNA Maryam sorride soltanto quando gioca con il suo bimbo e sembra una bambina anche lei: invece Maryam ha 27 anni, infiniti ricordi e qualche speranza per il futuro. Le stesse speranze delle donne di Kabul. Maryam, (il nome è di fantasia) è in questi giorni in Italia insieme con un’altra ragazza afghana di venti anni impegnata in una serie di incontri dedicati alla situazione del suo Paese. Nei giorni scorsi è stata a Domodossola, lunedì sera ha incontrato un centinaio di persone a Omegna e ieri sera era a Verbania. Parla e racconta, quasi senza partecipazione, con quello sguardo di bambina che a volte appare quasi spento. Lei è nata a Kabul. Suo padre, un ufficiale dell’esercito afghano, è morto nell’81 combattendo contro gli invasori sovietici. Poi vennero i talebani e lei, sua madre e la famiglia si rifugiarono in Pakistan. Da qui, insieme con le donne del Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) combatte una quotidiana battaglia per far sopravvivere il suo popolo e la millenaria civiltà del suo Paese. Una battaglia silenziosa e lontana, purtroppo, dai clamori del mondo. «Mio padre è morto in montagna - racconta Maryam - io e le altre donne del Rawa scendiamo invece negli scantinati delle case per fare la nostra nuova rivoluzione. Non prepariamo armi o bombe per attentati ma insegniamo alle donne, alle bambine, a leggere e scrivere, diamo loro le prime nozioni sanitarie». Se cadono nelle mani dei talebani per loro è la fine. A Omegna ha portato un «burqua», lungo velo che copre le donne da capo a piedi, e un video. Con scene di distruzione già viste e con inediti agghiaccianti. Una donna racconta e la telecamera riprende in primo piano la «grata» del burqua: si vedono, come lampi di luce, gli occhi mobilissimi. «In Afghanistan tutti sono prigionieri, non pensate - dice Maryam rispondendo a don Renato Sacco, parroco di Cesara e esponente di Pax Christi - che gli uomini siano liberi. Semplicemente le donne subiscono più degli uomini. Nel mio Paese la gente non ha più voglia di vivere. Siamo isolati dal mondo: sta crescendo una generazione senza passato e senza futuro». In Italia Maryam ha saputo dell’episodio dell’ospedale italiano costruito e gestito da Emergency a Kabul e occupato dai talebani. Per lei non è stata una sorpresa. Anche da Omegna partirono iniziative per l’ospedale. «Non basta indignarci e poi restare indifferenti - dice Anna Veggiotti di Verbania - possiamo chiedere almeno al nostro Governo di intervenire per l’ospedale italiano e i nostri volontari». L’appello è subito accolto da Amnesty International che ha organizzato, con la Comunità Montana, l’incontro con Maryam, dalla commissione Pari Opportunità e probabilmente si aggiungeranno altri enti del Vco.




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