Le Monde Diplomatique, Febbraio 1999

Doppia trappola per l'Afghanistan


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"I talebani non ci considerano esseri umani, schiuma di rabbia Rahila, cinquant'anni. Non vogliono che siamo istruite. Ci considerano loro proprietà. E obbligano le vedove a sposarli, soprattutto quando sono belle". Rahila è cresciuta nella Kabul di un tempo, ha frequentato il liceo francese Istiqlal, poi ha insegnato matematica. Oggi non insegna più, ma appartiene all'organizzazione clandestina Revolutionary association of the women of Afghanistan (Rawa). Come gran parte dei suoi membri, è fuggita da Kabul e ora vive a Peshawar. Con le lacrime agli occhi si infiamma contro le assurdità dei talebani e quel che impongono alle donne (l'uso del chadri, il divieto di uscire di casa da sole, il divieto di andare a scuola, di lavorare, ecc.). "Questa non si può chiamare vita".

Fondata nel 1977 da Mina, l'associazione Rawa ha partecipato fin dal 1979 alla lotta contro l'occupazione sovietica. Nel 1987 Mina è stata assassinata a Quetta, la città del Pakistan dove si era stabilita. L'omicidio è stato attribuito a membri del Hebz-e-Islami, il partito diretto da Gulbuddin Hekmatyar. Ma l'associazione le sopravviverà, sforzandosi, senza alcun sostegno finanziario, di informare l'opinione pubblica mondiale sulle atrocità commesse dai mujaheddin prima e dai talebani poi. Le militanti, attive a Peshawar, Quetta e Islamabad, sono quasi tutte insegnanti, medici o funzionarie e nessuna si rassegna. In Afghanistan "tutte le donne sono depresse, afferma Rahila. Quando si è state professoresse e ricercatrici, non ci si rassegna a chiudersi in casa a pelar patate. Oggi le donne sono al sicuro, ma in prigione".

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